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sabato 20 ottobre 2012

La vicenda storica dell'arredamento.



Nell’introdurre un’ipotetica vicenda storica dell’arredamento è necessario darne, o cercare di dare, una definizione utile ad indicare un’idea di arredamento come concetto funzionale e fenomenologico degli elementi d’arredo, dei mobili, degli oggetti e del loro sviluppo.
A tal fine mi rifaccio agli studi di Renato De Fusco (Napoli 1929) che, per costruire questo concetto funzionale, si orienta sul rapporto che la pratica dell’arredamento presenta con l’architettura.
“Altrove ho inteso un’opera architettonica, un edificio, come un sistema di unità spaziali agibili, ciascuna delle quali composta da un invaso (una stanza, una sala, un ambiente) e da un involucro, ovvero i muri e gli altri elementi che conformano e delimitano quell’invaso. Il luogo dell’arredamento è appunto l’invaso, lo spazio in cui si vive, dove si sistemano i mobili e gli altri elementi di arredo”. (R. De Fusco. Storia dell’arredamento dal ‘400 al ‘900. 2004, Ed. Franco Angeli)
Tuttavia, essendo l’involucro e l’invaso elementi indissolubili, aggiungeremo che l’area dell’arredamento è quello dell’invaso ivi comprese le facce interne dell’involucro come i soffitti, le pareti, i pavimenti e una serie di elementi che il De Fosco definisce la “fodera” dell’invaso. Per tanto la differenza tra architettura ed arredamento si può identificare nel fatto che l’architettura conforma l’intero sistema delle unità spaziali di un edificio fino a comprenderne la volumetria esterna, l’arredamento si occupa delle singole unità spaziali e la sua pratica consiste nell’articolare lo spazio agibile dell’invaso in relazione alla sua destinazione d’uso.


I Greci
È lecito ritenere che, i principali tipi di mobili ereditati dall’Egitto e dalla Mesopotamia, fossero largamente usati in Grecia.
Tutto ciò che sappiamo sull’arredamento greco è giunto a noi dai ritrovamenti archeologici. Scene dipinte su vasellame, scolpite sui bassorilievi ed anche narrate dalle fonti letterarie del tempo. Ritroviamo, dunque, non tanto la conoscenza di ambienti quanto quella dei mobili e degli oggetti singoli che rientrano nella rappresentazione di un episodio, quello appunto riportato dal ritrovamento archeologico.
In Grecia, i mobili più significativi sono i sedili classificabili in tre tipi: diphros, thronos e klismos.
Il primo era uno sgabello con gambe tornite e privo di schienale e braccioli. Vi era una variante pieghevole chiamata diphros okladias con gambe incrociate e raccordate due a due e con la seduta in pelle.





All’opposto di questo primo ed essenziale modello è il thronos, definito da Gisela Richter come “un’imponente cattedra usata dagli dèi, dai defunti eroicizzati, dai principi e da altri personaggi importanti”.  Poteva disporre di uno schienale di varie altezze e, talvolta, di braccioli. La seduta, di pelle, veniva resa più confortevole dall’aggiunta di cuscini e tessuti. Vari motivi ornamentali – più o meno ricchi a seconda dell’importanza del lignaggio del destinatario – ne caratterizzavano la fattura: tra questi le gambe e i braccioli lavorati e intagliati, ad esempio, rispettivamente come zampe e teste di animali.  (Gisela M. A. Richter, L’arte greca, Torino 1969, p.270).
Tra i due esempi precedenti si pone il klismos. Questo sedile era senza dubbio il più originale fra quelli greci e possedeva una importante valenza estetica da un punto di vista morfologico. Leggera, con quattro gambe a sciabola. Le gambe posteriori proseguivano a formare la spalliera, quest’ultima, avvolgente all’altezza del dorso quasi ispirato, per le sue forme morbide, eleganti e curvilinee, ad un corpo femminile frutto, non già di un semplice carpentiere ma forgiato dalla sapiente mano di uno scultore. A conferma dell’origine scultorea dell’invenzione del klismos sono gli scavi che, in vari teatri, hanno riportato alla luce diversi esemplari marmorei di klismoi come quelli scolpiti nel teatro di Dionisio ad Atene. In questo ritrovamento si nota che i primi posti della cavea sono contrassegnati da thronoi e da klismoi ricavati nelle prime gradinate. I primi hanno gambe a zampa di leone e braccioli e figurano come un blocco di marmo a forma di sedile che si sovrappone ai piani del gradone, i klismoi, sono modellati proprio su tali piani, quello corrispondente alle gambe è concavo ad andamento orizzontale così che i due ideali sostegni del sedile appaiono incurvati in avanti come nella sedia vera e propria. Il piano corrispondente al sedile è limitato dalle stesse fasce delle gambe che proseguono sul terzo piano, quello della spalliera. Questo è concavo nel senso verticale per il comodo appoggio della schiena. Il tutto dona un elegante ritmo scultoreo alla struttura lineare nel suo formato ligneo. 




Dopo i sedili, per ordine di importanza tra i mobili, troviamo la kline: il letto. Costituito da un telaio in legno cui erano collegate corde intrecciate che formavano il piano d’appoggio. Le quattro gambe erano larghe quanto la fascia del telaio o la sponda del letto. Veniva decorato sul suo profilo laterale con cuscini e biancheria, il profilo era costituito dalla fascia di sponda e dalle due gambe, quella a piedi fuoriusciva dalla sponda, mentre l’altra era sensibilmente più alta cosi da far assumere al materasso, disteso e ripiegato al di là dei lati brevi, un andamento concavo con un rigonfiamento più basso per i piedi e uno più alto per il capo. Il Kline non serviva solo per dormire ma veniva usato anche per mangiare durante i banchetti. Si scopre, da alcuni ritrovamenti, scene che ritraggono più klinai affiancate dove, le figure che occupavano questi letti si servivano da tavolini bassi a doppio ripiano, i quali, venivano riposti sotto la struttura (fig. 3: in alto un particolare di un cratere con scena di banchetto, da Cuma IV secolo a.C. presente nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in basso una urnetta Etrusca con scena di banchetto; da Chiusi, fine sec. VI a.C. e conservata nel Museo Archeologico di Firenze).
Si pensa che, al di sotto del tavolo, venisse riposto un altro mobile quasi a creare un effetto a scatola cinese. Non mancava, presso gli antichi greci, un mobile presente in ogni epoca, ovvero, la cassa per la biancheria chiamata Kibotos presente e descritta in numerose opere letterarie. Le “arche” di epoca classica assunsero la forma di un parallelepipedo con coperchio piatto che poteva presentare decorazioni e piedi a zampa di leone.
Vale la pena considerare, in fine, che questi oggetti, una volta raggiunta una conformazione ottimale nella loro funzionalità, nel corso del tempo, di poco o nulla sono stati rielaborati quasi ad ammettere l’esistenza di oggetti sui quali il tempo non produce grosse variabili. Un amo da pesca, ad esempio, oggi ha la stessa forma di qualche millennio fa.






Marco Boccia





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